Articolo di Giabattista Liazza
Sentiamo parlare molto di formazione e noi lo abbiamo sottolineato più volte. Da più parti ne parlano, pur ritenendo che sia carente, nel contempo, si afferma che è la soluzione necessaria per i fondamentali problemi che assillano il paese.
In sintesi, ci sentiamo di dire che abbiamo un serio problema di formazione per giovani e meno giovani. Anche noi riteniamo che sia proprio così.
Peraltro, nessuno di coloro che ne parla, ci spiega cosa sia realmente ciò che si auspica, cosa intendono realmente citando la formazione; come si possa renderla accessibile in modo efficace. Quali “difettosità” la caratterizzano attualmente, come si possa fare per aggiornarla e renderla efficace e con quali tempi data l’urgenza degli annosi problemi da risolvere.
A chi possiamo riferirci per affrettare, magari copiando, il raggiungimento di standard soddisfacenti.
In questi anni si è insediato un sistema pubblico di cosiddetta formazione, incrociato con l’offerta dei privati professionisti della materia. Nessuno si offenda ma si sono dimostrati inadeguati entrambi, anche se si esprimono molto in lingua anglosassone.
Temiamo che si lavori su esperienze/ricordi scolastici. È il modo migliore per ammalarsi degli stessi gravi malanni della scuola.
La sintesi tremendamente significativa è quella che ci ha lasciato Tullio De Mauro, grande linguista ed esperto di sistemi di apprendimento, il quale, parafrasando la nostra Costituzione, ci dice che :
” l’Italia è una Repubblica fondata sull’ignoranza “
Tullio de mauro
Amen! E così sia, ma nessuno cerca di cambiarla?
In conclusione, molto si parla di formazione, di necessità, di urgenze, ma idee e soluzioni innovative, anche antiquate purché efficaci, in giro non se ne vedono.
I grandi signori della formazione continuano per la loro strada e con le loro attività tanto inadeguate quanto inutili. Peraltro, come si è fatto in questi ultimi anni, di formazione basta parlarne, meglio se a bocca piena.
Abbiamo sentore che gli esili pensieri in circolazione (altro che innovazione e creatività orientata al cambiamento) siano rigorosamente ancorati al sistema scuola. Suggerisco a tal proposito di informarsi presso il Professor Galimberti noto filosofo e psicoanalista, che qualche idea sulla scuola italiana ce l’ha (è piuttosto incazzato, parole sue!).
Abbiamo un cambiamento veloce e quasi violento che ci attende anche un po’ minaccioso (credo che pandemia e guerra in Ucraina ci abbiano mandato già qualche segnale). La scienza ci apre a novità ogni giorno, ma approfondiremo il tema in una prossima occasione.
Soprattutto per non sentire più chiacchiere a sproposito sulla resilienza che viene spacciata come resistenza, come capacità di resistere agli eventi.
Non è così. La resilienza è la qualità che ci aiuta ad essere flessibili e tempestivi nell’adattarci ai cambiamenti per gestirli e viverli positivamente. Non siamo mattonelle di ceramica che devono essere solo belle e resistenti.
Raccogliendo notizie della formazione in Italia, rafforziamo la convinzione che si continui con il maldestro obiettivo di riempire di nozioni le persone bisognose di formazione, come fossero recipienti. Forse il sistema si è irrigidito e non sa fare nulla di meglio. Invece le imprese, la pubblica amministrazione, ogni categoria produttiva esige nuove espressioni di competenza e di qualità nelle persone: essere, sapere e saper fare.
Difficile necessità da soddisfare mentre scaliamo le classifiche dell’analfabetismo funzionale.
Cosìci dicono le classifiche internazionali, ma anche Tullio De Mauro.
Sembra ci sia la convinzione che si trovino soluzioni nei titoli roboanti che si danno ai corsi di formazione; oppure nell’assoldare accademici che forse possono dare qualche testimonianza specialistica, ma non essere buoni formatori…..lasciamo perdere, i fatti parlano.
Forse varrebbe la pena di ricordare l’opera di Don Bosco che nella sua Torino, capì che la gioventù aveva bisogno di saper fare qualcosa e così creò scuole di tipografi e di operatori meccanici.
Frequentando le tipografie italiane scoprivi che quasi tutti i loro validissimi tecnici erano ex allievi salesiani. Ne ho visti così in Egitto, in Libano in molti paesi dove si sono diffuse le scuole salesiane.
Non dubito che Don Bosco sia un Santo, ma sicuramente un grande educatore, uno che ha scritto un capitolo importante della pedagogia. Non ha fatto chiacchiere, ha risolto problemi seri, educando. Si obietterà che erano altri tempi, problemi diversi ma Don Bosco ha trovato soluzioni valide per quei tempi, educando.
So che nelle imprese Italiane oggi, si farebbero salti di gioia se ci fosse un Don Bosco a risolvergli i problemi del personale, magari con un miracolo. Invece ciò che giunge dalla scuola e dagli Enti di formazione non soddisfa chi deve assumere e nemmeno chi vorrebbe essere assunto.
Ma lo vuole ancora?
Si cerca di rimediare con corsi e corsetti offerti dalle varie consulenze ma non cogliamo nemmeno in questo caso valide soluzioni. Peraltro, ci sono esperienze positive, ma non sono di sistema, solo eccezioni.
Riformare e adeguare gli Istituti Tecnici sarebbe già un passo avanti, di avvicinamento alla Germania che già da moltissimi anni ha innovato in questo settore con risultati evidenti e significativi (se non andiamo errati il Governo Draghi ha iniziato qualcosa in tal senso).
A questo punto sarebbe bene ricordare le gravi responsabilità del sindacato, ma dovremmo incazzarci come il prof. Galimberti con la scuola. Rischiamo in breve tempo di essere un paese di impreparati, con scarse prospettive, profondamente carenti sia nel settore pubblico che nel privato.
Invidiamo la concretezza del pragmatismo dei paesi del nord America e dei nuovi paesi emergenti in oriente. Affrontano i problemi e trovano le soluzioni, sentiamo già il loro fiato sul collo.
Negli USA Dewey ha insegnato che conta chi deve apprendere e cosa può apprendere, molto meno conta chi forma che deve dimostrare di essere idoneo e di saper fare bene il formatore (insegnante se preferite).
Lo valutano e lo allontanano se non va. Da noi basta il titolo e a volte un esame, per il sistema va bene anche uno psicopatico e se diventa di ruolo può fare disastri per quaranta anni.
Per essere un po’ concreti, proponiamo alcune riflessioni centrate su chi apprende e sulla loro reale partecipazione al procedimento formativo. Il nostro titolo oggi e’:
CAMBIARE RAPIDAMENTE DAL RECIPIENTE AL FARO
VERSO UN METODO SCIENTIFICO
verso un metodo scientifico
- smetterla di rovesciare nozioni sui formandi come fossero recipienti, erogando la somministrazione dalla cattedra (come da un pulpito) come se fossero
- tutti eguali ed egualmente capaci di apprendere
- tutti egualmente interessati e nelle stesse condizioni psicologiche ed esistenziali;
SAPPIAMO CHE NON E’ COSI’. E allora?
- smetterla di trattarli come recipienti. Invece proviamo ad offrire loro un faro che illumini il loro percorso e lo faciliti verso lo scopo acquisendo conoscenze ed esperienze assimilate mediante una partecipazione attiva, consapevole, motivante e coinvolgente, costruita con grande interesse personale e di gruppo
- Si faccia qualche pausa nei momenti ritenuti critici, per ascoltare in gruppo (mai più di 15) le loronarrazioni su come si sentono partecipi e coinvolti, altresì come percepiscono l’evolversi del loro personale modo di pensare e di agire
SAPPIAMO PER ESPERIENZA COSA SI DEFINISCE COMUNEMENTE LAVORO DI GRUPPO. Cosi’ avrebbe un senso
- Non servono edifici “mausolei” per fare una valida formazione, servono aule e laboratori. Bravi formatori hanno insegnato l’elettronica con risultati straordinari (era un esperimento) ai nativi nelle foreste del Mato Grosso. Ci limitiamo qui a considerare l’aula che è una comunissima stanza, spaziosa e ben illuminata. Ma se il clima lo consente si può lavorare anche all’aperto, in sistemazioni occasionali. Quel che conta è smettere con le poltroncine o i banchi disposti come nelle platee del cinema. Dopo la prima e la seconda fila l’attenzione si affievolisce. Nelle ultime file si producono i peggiori risultati in genere. L’attenzione e la partecipazione così si attenuano. Sorgono sottogruppi di appartenenza al luogo non al processo di apprendimento. Forse anche i bulli preferiscono le ultime file.
Se abbiamo una disposizione semicircolare su unica fila, nessuno è dietro. E il formatore può muoversi in mezzo a loro rendendoli tutti partecipi. E non servono banchi a rotelle (che demenza).
La scienza ci dice che il nostro cervello pensa in tutte le direzioni: è circolare. Ma si insiste con le materie lineari e parallele che non si incontrano mai. Tutte difficoltà scaricate sui formandi.
Perché?
Per favorire i docenti in diverse materie?
Guardando un’aula tradizionale con le file come al cinema e magari ci si vedono trenta o quaranta volti di persone diverse, ci accorgeremo che alla fine ne conosceremo bene cinque o sei, così, così una diecina, gli altri restano sconosciuti. E dobbiamo formarli?
Per ora ci fermiamo qui, ma il problema richiede ulteriori approfondimenti ed esempi che scaturiscono dall’esperienza.
Centrale è la formazione dei formatori non dimentichiamolo.
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