Articolo di Gianbattista Liazza

Abbiamo isolato e analizzato tre aspetti preoccupanti che sembrano emergere in modo preponderante nel sentire quotidiano di imprenditori e manager

non si trovano i lavoratori, 

calano i fatturati, 

il futuro appare molto incerto.

Se guidiamo le organizzazioni guardando il retrovisone, a parte il rischio di andare a sbattere, vediamo il passato.

Il passato è cio’ a cui eravamo abituati e che ora si presenta completamente cambiato ai nostri occhi nell’operatività quotidiana, facendoci sentire importenti, smarriti e impreparati.

Ecco allora che lasciamo spazio al timore, all’ansia e il futuro, che cambia le cose velocemente e profondamente, diventa un incubo. 

Cosa sta succedendo? 

Cosa e come fare per affrontare e risolvere i problemi che ci fanno sentire impreparati ad affrontarli e risolverli?

Se le cose del mondo cambiano velocemente e in modo radicale, dobbiamo armarci di una cultura in grado di renderci capaci di gestire il cambiamento. 

Tutti ne parlano ma sui rimedi cala un silenzio assordante.

Innanzitutto si deve essere pronti a cambiare le organizzazioni e il modo di governarle; non serve stendere vernice nuova su consuetudini vecchie e arrugginite. 

Infatti le aziende appaiono bloccate di fronte al cambiamento e all’innovazione che non può essere solo tecnologica.

Ci si limita ad introdurre nomi nuovi, disegni organizzativi ingegnosi quanto inefficaci sempre improntati alla OSL di Tayloristica memoria (Organizzazione Scientifica del Lavoro che ormai risulta alquanto datata…).

La piramide dove uno, o pochi, sanno tutto e comandano mentre gli altri sanno poco o niente ed eseguono, si sta rivelando sempre più inefficace e pericolosa per la crescita delle aziende.

Le parole magiche come produttività ed efficienza, a prescindere dalla partecipazione delle persone (meno sanno meglio e’), stanno perdendo la loro magia.

E in questa incalzante “rivoluzione” o evoluzione (se piace di più), le aziende non solo non sono cresciute ma stanno implodendo, sotto il penso di una cultura organizzativa rigida ed resistente ai cambiamenti, dove le persone ancora oggi sono poco valorizzate.

E parliamo di capitale umano?

Taylor ha colpito anche la scuola con insegnanti che hanno titoli e sostengono esami ma della cui personalità umana non si sa nulla.

Sono semplicemente chiamati ad applicare programmi redatti dai burocrati a classi di 30/40 soggetti dove aleggiano anche qui le fate misteriose: produttività ed efficienza che significa portare al limite massimo il numero dei promossi.

Abbiamo più diplomati e anche più analfabeti funzionali, ovvero persone che faticano a comprendere un testo scritto e questi ce li ritroviamo in azienda… 

Quando arrivano questi giovani in azienda per lavorare ne conosciamo le lacune, specialmente per le conoscienze scientifiche e tecniche. 

E come imprenditori e manger siamo chiamati a fare i conti con questa realtà, questo stato delle cose di cui non abbiamo alcun potere di influenza, se non cercando di tamponare un problema creato a monte da persone che in un’azienda non ci hanno mai messo piede e non sono capaci di formare persone all’essere, saper essere e saper fare.

E allora? 

Cosa possiamo fare?

Come imprenditori e manager abbiamo l’obbligo prima di tutto di rafforzare le nostre competenze per far fronte a problemi nuovi o diversi da quelli che siamo stati abituati ad affrontare: il confronto con nuove generazioni che hanno un concetto diverso del lavoro rispetto al nostro, valori che devono essere integrati alla nostra strategia aziendale, nuovi canali di sviluppo e acquisizione nuovi clienti e soprattutto l’accettare che la nostra fragilità di fronte all’irrompere di cambiamenti tanto radicali si trasformi in una risorsa capace di allargare i nostri orizzonti per comprendere meglio come affrontare il futuro.

In altre parole chiediamoci con quale volontà, con quale cultura, con quali competenze siamo pronti ad affrontare il cambiamento?

E’ bene porsi questo interrogativo prima di finire preda facile dell’ansia e del malessere esistenziale che sicuramente seppur comprensibile, sarebbe deleterio per ricostruire una squadra, un team vincente capace di raggiungere i risultati nel mare mosso da anni di pandemia, perdita di punti di riferimento importanti, inflazione, una guerra alle porte che qualche problema lo sta creando.

In questo momento è importante concentrarsi sul capitale umano, l’unico capitale che può aiutare un’azienda a svilupparsi e differenziarsi sul mercato.

Ripartiamo dunque da tre parole: rispetto, responsabilità ed inclusione

Rispetto (non semplici modi educati) ma ascolto, empatia

Responsabilità (non sempre colpe di errorima  ricoprire un ruolo riconosciuto nell’organizzazione a qualunque livello (auspichiamo una organizzazione orizzontale e circolare, basta piramidi!)

Inclusione di tutti coloro che responsabilmente esercitano un ruolo, chiamandoli a “partecipare” e non limitarsi ad eseguire acriticamente gli ordini, che poi non dovrebbero arrivare ancora dall’alto ma essere motivo di analisi collettiva e ricerca di soluzioni insieme (partecipazione appunto).

Una comunità di lavoro insomma. Ne stanno nascendo di diversi tipi in tutto il mondo, dove si guarda al futuro.

Gia’ cominciare da qui sarebbe un bel cambiamento che ci farebbe fare passi significativi verso il futuro.

Questo è il punto di partenza per trovare con maggiore successo le persone necessarie alle quali proporre una realtà lavorativa diversa di cui sentirsi orgogliosamente appartenenti. Far parte di una organizzazione umana che valorizza le persone e vince.

Per passare dal dire al fare siamo sempre pronti a dare un concreto aiuto, espressione di un patrimonio di molteplici esperienze acquisite sul campo, non narrate da altri in un’aula formativa, per quanto prestigiosa. 

Il nostro è un saper essere che nasce dall’esperienza, un sapere frutto di studi mai interrotti, il saper fare espressione di reale competenza. Sempre attenti a non fare perdere tempo a chi ne ha già poco.