Sento spesso dire, anche in contesti organizzativi, “tutto è diventato complesso”, dando al termine una connotazione negativa.
Io penso che come esseri umani (sicuramente non semplici in quanto tali) abbiamo la necessità di vivere e lavorare bene, in realtà sempre più complesse e pertanto mutevoli e imprevedibili.
Quello che ci viene richiesto è di smetterla di guardare indietro ma imparare a guardare avanti, diventando sempre più abili a surfare nella complessità, con l’obiettivo di aumentare le opportunità e ridurre i rischi che possono derivare dagli imprevisti.
Ma andiamo per gradi.
Cos’è la complessità?
L’enciclopedia Treccani, la definisce così: “caratteristica qualitativa di un sistema, cioè di un aggregato organico e strutturato di parti tra loro interagenti che gli fa assumere proprietà che non derivano dalla semplice giustapposizione delle parti”.
Quindi gli esseri umani sono complessi, le famiglie sono complesse, le aziende sono complesse, l’ambiente è complesso, il mercato è complesso, il mondo è complesso, la vita stessa è complessa.
Siamo immersi nella complessità e questo è un valore.
Nella semplificazione non c’è valore, non c’è spessore, non c’è evoluzione né crescita. È nella complessità che ha origine tutto.
Quando sento colleghi che dicono “bisogna semplificare le cose”, la mia domanda è “cosa?” Le risposte più gettonate sono: il silenzio oppure (ancor peggio) “bisogna lasciare a casa delle persone per ridurre i costi”.
Grande stupidaggine!
Se quelle persone servono per produrre o erogare un servizio non si possono licenziare, anche perché il licenziamento ha un costo e un rischio.
Quando faccio questa osservazione, sento balbettare: “allora è complicato”.
Certo, per chi non se ne fosse ancora reso conto:
“tutto ciò che vediamo intorno a noi è un sistema complesso, compresi noi stessi”
Giorgio Parisi (Premio Nobel per la Fisica)
Purtroppo, il concetto di complessità viene spesso confuso con concetti quali: complicazione, articolazione, numerosità, difficoltà, problematiche, ecc…
Inoltre, siamo soliti attribuire alla complessità, la responsabilità di paralisi decisionali (“non ho elementi chiari per prendere una decisione”, “ci sono troppi numeri per decidere, mi servono delle sintesi”, “la situazione è troppo complessa per decidere”, “tutto è diventato troppo complicato per decidere” e l’elenco potrebbe continuare).
A tutto questo si aggiungere che la complessità non è lineare e sin da piccoli ci sentiamo dire: “1+1 fa 2”, “non si sommano le pere con le mele”, ecc… quindi è normale rifiutare la complessità perché non si misura con criteri “normali” ma bisogna un po’ uscire dagli schemi per poterla decifrare, interpretare e anche misurare.
Questo comporta uno sforzo che per alcune persone è veramente faticoso ma la mia domanda è “qual è l’alternativa?”
Come gestire un’azienda in un mondo sempre più complesso?
Innanzitutto, mettendo i piedi per terra e liberandosi da tutto ciò che per tanto tempo è stato messo in pratica con risultati non soddisfacenti. Smettiamo quindi di creare organigrammi piramidali.
Se la complessità non è lineare perché nelle vostre aziende vi sforzate di darvi una struttura lineare-gerarchica?
Provate a pensare come sarebbe la vostra organizzazione se fosse circolare, fatta di persone interconnesse che si auto-organizzano in base agli obiettivi da raggiungere e che siano flessibili tanto da sapersi adattare facilmente alle diverse situazioni.
Ecco, quindi, cosa fare per rendere misurabile un’organizzazione complessa
- creare connessioni circolari
- far emergere funzioni e capacità non deducibili dalla struttura organizzativa piramidale.
- sviluppare una sensibilità estrema a qualsiasi “battito d’ali di farfalla” che modifichi, anche impercettibilmente, il clima organizzativo, la motivazione e le performance delle persone;
- fare propria l’imprevedibilità perché l’essenza della complessità è la “sorpresa”.
Pertanto:
Il vero talento della complessità è immaginare scenari possibili, prima e meglio di altri
FRANCESCO VARANINI
Questa è strategia, ovvero pensare in modo diverso per gestire la complessità a proprio vantaggio. Per far questo bisogna imparare a gestire la complessità, osservarla e comprendere come affrontarla, riducendo al minimo i rischi.
Alcuni suggerimenti:
- favorire la circolarità delle connessioni interne ed esterne che le tecnologie oggigiorno facilitano ma, purtroppo, vengono spesso ostacolate da una diffusa “cultura del controllo”;
- “Mind the gap” (attenti al distacco). Dovrebbe diventare il mantra di un’azienda complessa, attenta a ridurre il gap tra livelli decisionali, facilitando la circolazione di idee e critiche (costruttive);
- stimolare soprese, imprevedibilità ed eccezioni interne;
- destrutturare procedure lineari e rigide che vogliono prevedere tanti casi, inserendo quante più possibili way-out (vie di uscite da un problema indesiderato)
- promuovere le diversità e l’inclusione nello staff manageriale e nei team di lavoro, per ottimizzare proattività, creatività, produttività;
- formare manager il cui moderno e complesso compito diventa: immaginare, prepararsi ad affrontare e superare situazioni impreviste e diventare dei grandi esperti di relazioni
In sintesi, la complessità non possiamo arrestarla quindi l’unica soluzione per le aziende è di accettare le “sorprese” uscendo dalle logiche di sistemi lineari deterministici e troppo controllati che non possono (se non in casi rarissimi) generare sviluppo, crescita e valore aggiunto. Questo comporta un rischio così come comporta un rischio amare qualcuno, partorire, salire su un aereo, attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali, decidere di dire di “NO”, sottoporsi ad un intervento e tante altre decisioni che facciamo ogni giorno.
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