Articolo di Gianbattista Liazza

Per cambiare iniziamo dall’organizzazione e dalle relazioni con le persone.

Viviamo tempi in cui una organizzazione (ente o azienda di qualunque tipo e dimensione) si trova immersa nei problemi generati dal cambiamento e per risolverli deve decidere cosa fare e come fare, premettendo un robusto si vuol fare

Chi afferma che sono balle e che tutto tornerà come prima (prima quando?) è uno zombie. Un morto che cammina a prescindere dai soldi che ha accumulato (prima).

Riteniamo che chi sta al vertice di una organizzazione, piccola o media prevalentemente, debba fare una analisi seria della situazione, per dimostrare di aver compreso che il mondo che sta cambiando rapidamente esige imprenditori e manager innovatori. Tuttavia, se non si hanno idee chiare e ben definite è meglio farsi aiutare da chi sa come fare perché in reale possesso dei necessari saperi e dell’adeguata competenza ed esperienza. Ciò é consigliabile per evitare errori e danni molto seri ed onerosi. Perdita di tempo soprattutto, mentre ne è rimasto poco: il cambiamento incombe.

Purtroppo, si offrono molti consulenti improvvisati, che vantano competenze che in realtà non hanno perché recepite con un po’ di ore di formazione e per aver letto qualche capitolo di letteratura professionale, spaziando qua’ e là.

Usano terminologie anglosassoni e atteggiamenti magici con supponenza ma in concreto potremmo accomunarli alla perniciosa specie dei bla bla.  

Meglio affidarsi a chi dimostra di essere, di sapere e di saper fare bene, con documentate esperienze, soprattutto quando si affronta il cambiamento cominciando, giustamente, dal capitale umano

L’analisi preventiva che suggeriamo riguarda le persone, la società che ci circonda, i rapporti all’interno dell’organizzazione e nel contesto in cui si opera; cosa sta succedendo con gli stakeholder, quali problemi nuovi incontriamo e quanto sono sempre più urgenti le situazioni problematiche da affrontare, spesso irrisolvibili come se non fossimo più capaci di fare il nostro tradizionale lavoro con soddisfazione di tutti. Ma c’è ancora qualcosa di tradizionale?  

Abbiamo qualche dubbio in proposito.

Prima decisione da prendere: azzerare il “si è sempre fatto così” una vera bestemmia per una azienda innovativa, che vuol cambiare sul serio per continuare a vincere; per perdere sono capaci tutti. 

E a molti che si ostinano a non cambiare toccherà sparire.

L’altra analisi assolutamente necessaria è molto complessa. 

Ci siamo mai chiesti di  quali risorse umane abbiamo realmente bisogno affinché l’organizzazione che pratichiamo sia veramente adeguata al cambiamento e  che le persone che vi lavorano ci assicurino i risultati attesi e lo sviluppo ipotizzato?    

Facciamo lavorare la coscienza e la memoria.  

Negli anni abbiamo selezionato e gradito i puntuali, i sempre presenti, quelli  rispettosi – meglio dire obbedienti –  quelli che non sbagliano mai, che sentono l’azienda come una cosa loro, che forniscono ottime prestazioni, che non dicono mai di no……  e via così?  

Ora dobbiamo cambiare verso un futuro che richiede intelligenza, cultura, scientificità, flessibilità, risorse creative, competitività, polivalenza e….. non è finita.

Pensiamo di farcela con la squadra di cui disponiamo, così come ce la siamo messa insieme nel tempo?

Gente nuova non sarà facile trovarla se non cambiamo l’offerta e non è solo questione di soldi.

 Soggetti intelligenti, colti, creativi, orgogliosi ,magari scomodi ma motivati a essere, a conoscere, a fare e fare bene, a crescere e individuare i perché li abbiamo mai cercati e inseriti nella nostra organizzazione?  

Riteniamo, e ci scusiamo di pensarlo, che la risposta ai perchè delle persone non sia   stata quella giusta. Non si sono ascoltate le ragioni dei dissensi valutati come indisciplina magari, non si sono ascoltate le proposte di cambiare apportando miglioramenti non ritenuti tali perchè provenienti dal basso; magari senza pensarci su tanto perchè non si è stati abituati ad ascoltare i suggerimenti della base. 

La risposta data loro riteniamo sia stata quasi sempre sbagliata, determinata da  un’attesa verticistica unicamente orientata al modello tecnico-prestazionale (cultura dominante).

 Magari il modello di risposta è stato sempre del tipo: fai come ti diciamo noi perchè ti paghiamo. Amen. 

Circolano libri molto significativi che descrivono negativamente queste metodologie di organizzazione e di relazioni con le persone.  Sono ritenute disastrose per poter affrontare seriamente il cambiamento.  Ci sono delle eccezioni ovviamente ma sono solo eccezioni non il sistema. 

Dobbiamo meravigliarci della disaffezione per il lavoro?

Non solo dei giovani da ciò che si sente dire.

Ci soccorre il pensiero del filosofo e psicologo Galimberti che ci descrive come i giovani di oggi non conoscono lo scopo; come non ci fosse uno scopo. (al vivere per essere più precisi) e non hanno le risposte ai perché posti a loro dalla vita quotidiana. Poi ci stupiamo che nei colloqui di lavoro chiedano solo del denaro, delle ferie, dell’orario, ecc.  

Ma c’è vita nel lavoro? 

Perchè si lavora? 

Per vivere serve tempo e denaro, ma fuori dal lavoro, per loro. 

Il lavoro non è vita se questo è il loro sentire. 

La scuola che quando va bene istruisce ma non forma (educa);la famiglia lasciamo perdere come afferma irato Galimberti, poi pensiamo che nel mondo del lavoro, nell’azienda che deve tuttavia intervenire quotidianamente anche sui fallimenti di scuola e famiglia, vada meglio?  In questi ambiti dobbiamo compiere la nostra analisi più approfondita. 

Ci siamo chiesti, per iniziare, chi siamo e come siamo realmente come persone,

 come imprenditori e come manager; dobbiamo fare una analisi interiore seria, al di là della cilindrata dell’auto aziendale, degli abiti indossati, delle ferie in luoghi di sogno, degli agi che la posizione ci permette? 

Non vorremmo essere offensivi ma leggiamo qualche libro? 

Aggiorniamo la nostra cultura o siamo fermi al padrone delle ferriere

Non è snobismo ma la cultura è il requisito fondamentale per affrontare il cambiamento da veri innovatori.

Siamo capaci di esprimere empatia nelle relazioni con le persone, soprattutto con i collaboratori ad ogni livello? 

Ma cosa è l’empatia? Velocemente la definiamo la capacità di percepire e comprendere le emozioni, i segnali che gli altri ci inviano con i loro atteggiamenti/comportamenti. Insomma, relazionarsi emotivamente e con attenzione agli altri. 

Ascoltandoli soprattutto.

Fatta la premessa, riteniamo che ora sia intuibile cosa dobbiamo essenzialmente cambiare:

  1. In premessa: elaborare e rendere nota a tutti la visione di futuro per cosa intendiamo fare, per quali traguardi intendiamo raggiungere, per come intendiamo la collaborazione delle persone (aperta a tutte)
  2. La nostra attenzione alle persone
  3. il sistema di organizzazione (basta piramidi)
  4. la distribuzione dei ruoli e responsabilità e quindi rimodellazione dell’orgnizzazione, rimuovendo la verticalità piramidale, con attuazione della circolarità nella gestione dell’organizzazione (la catena del valore funziona così)
  5. la condivisione di piani e programmi, partecipati responsabilmente da tutti
  6. la partecipazione alle decisioni almeno da condividere in modo consapevole
  7. assicurare formazione permanente, finalizzata alla crescita delle persone e conseguentemente alla creazione di valore in capitale umano
  8. partecipazione alle decisioni (gestione) e riconoscimento di una giusta condivisione degli utili in base ai risultati, come dice la nostra Costituzione (sembrano passati inascoltati 70 anni mentre in molti paesi d’Europa già si praticano sistemi adeguati di partecipazione alla gestione e agli utili).

Un po’ di cose così per cominciare. Per quel che ci riguarda siamo sempre pronti per dettagliare ed esemplificare, per fare piani di cambiamento, per dare una mano.