Articolo di Gianbattista Liazza
Tutti parlano di cambiamento ma da dove cominciare e come?
Molti anni sono passati da quando ebbi l’opportunità e il piacere di conoscere il capo dell’ingegneria dell’Olivetti. Un ingegnere napoletano di straordinaria personalità ed esperienza. Ero giovane e curioso di sapere come funzionava una grande azienda industriale. Parlammo di molte cose ma una in particolare mi ha dato modo di riflettere in tutti questi anni.
Mi raccontò che il maggior lavoro della sua direzione, l’ingegnerizzazione di processo/prodotto, cioè tutto ciò che si deve fare per passare dal progetto al prodotto finito, consisteva nel rimediare le corbellerie dei progettisti. Mi vide allibito e così mi spiegò che i progettisti, anche i più geniali, sia che lavorino ad un prodotto come ad una modifica di un particolare tutto hanno nella loro testa meno le conseguenze molto onerose di molte loro scelte; scelte che poi si trasferiscono sul cosa e sul come fare per realizzare il prodotto in modo razionale, ai minori costi possibili e con la soddisfazione del cliente finale. MI venne in mente la palazzina riservata ai servizi di progettazione ad Ivrea. Erano dei privilegiati i progettisti.
Mi raccontò che a volte la modifica di un semplice profilo, di una aletta, di un particolare che piaceva molto ai progettisti ma che non sempre aveva valide ragioni per essere applicata, implicava un grande lavoro come rifare gli stampi, ridefinire i processi, la documentazione tecnica, le distinte base e i cicli di lavoro, le attrezzature, ecc.
Mi raccontò ancora che riuscire a discutere i problemi con i progettisti era una impresa ardua: le due entità organizzative parlavano lingue diverse e avevano poca voglia di porre in discussione il loro potere. Erano funzioni verticali e parallele nel disegno organizzativo per questo destinate a non incontrarsi. Qualche teorico sosteneva che questa dialettica giovava alle aziende. Come? Astrazioni che non mi hanno mai convinto. Amen.
Inizialmente, pensai che fosse un problema solo in Olivetti, ma poi ritrovai la stessa situazione in altre organizzazioni anche grandi come quelle del settore automotive ad esempio.
Io mi chiedevo perché accadeva tutto questo. Non era possibile trovare un rimedio? Posi la domanda a tutti i valenti interlocutori che ho incontrato ma alla fine giunsi alla conclusione che a Taylor e a Ford dobbiamo riconoscere grandi meriti ma anche la grave colpa di averci lasciato una cultura che impasta un cumulo immortale di principi e modalità organizzative penetrate anche nel DNA delle organizzazioni.
Ci hanno lasciato una maledizione: quella del “si è sempre fatto così, perché cambiare?”.
So che state scuotendo la testa in segno di disapprovazione, ma chi lavora nelle aziende, nelle linee di produzione lo sente ancora come un mantra il si è sempre fatto così, soprattutto quando si prova a modificare qualcosa ai piani bassi.
Le grandi imprese forse godranno degli aiuti di elevati esperti e sicuramente stanno già provvedendo ai cambiamenti necessari per sopravvivere sui mercati nel radicale cambiamento che incombe su tutto e su tutti, ma nelle medie e piccole aziende (la grande maggioranza) invece si risentono immodificabili le stesse problematiche. Forse il “piccolo è bello” non è più attuale? Sarà un problema per l’Italia. Magari le piccole e medie aziende hanno comprato macchine automatiche modernissime, hanno robotizzato anche, ma le loro organizzazioni sono rimaste ancorate al modello Taylor-Ford, roba che andava bene più di un secolo fa.
Organizzazione piramidale, lineare e con un vertice che decide tutto; poi le colpe degli errori sono sempre di chi sta più sotto nella piramide. Il potere nel migliore dei casi si ferma a metà della piramide stessa e in basso arrivano solo ordini e rimproveri e quindi chi può si difende riducendo l’impegno: meno si fa e meno si rischia; se non gli chiedete mai cosa ne pensano e come potrebbero migliorare ciò che fanno perché dovrebbero incrementare il loro contributo al risultato?
Qualche imprenditore illuminato ha capito e ha cominciato a cambiare le modalità di relazione, con tutti e con buoni risultati.
Ma anche nelle grandi organizzazioni forse alla Boeing, la più grande produttrice di grandi aerei al mondo, gli errori fatali negli ultimi tempi non sono mancati; aerei caduti e morti in quantità. Ne hanno ritirati a centinaia che non volano più, sono a terra. Tutto in silenzio? No, sono “volate” critiche interne feroci sull’incompetenza circolante anche ai piani alti; fra i lavoratori non ci si meravigliava degli esiti nefasti. Queste notizie sono circolate sui media di tutto il mondo con danni incalcolabili.
Ritengo che le assurdità raccontate in anni lontani siano ancora attuali, si risentono da quadri e manager, soprattutto nei colloqui che sostengono per cambiare azienda e/o lavoro. E anche molti imprenditori cominciano a farsi delle domande. C’è molta insoddisfazione nel mercato del lavoro in chi ha una occupazione o magari ha una impresa, sfiducia in chi non l’ha ancora. Le voci di come si vive in molte aziende circolano e non creano entusiasmo. La scuola è assente e la famiglia si accontenta: basta una sistemazione e uno stipendio, magari stabile. I contratti a termine spaventano, solo da noi da quel che si sa.
Ma pare che non interessi invece sapere quanto soddisfino gli ambienti e le modalità del lavoro.
Da dove conviene cominciare? Intanto poniamoci una domanda: l’organizzazione piramidale e verticale (tayloristica e fordiana) è immodificabile?
Si parla ovunque di catena del valore, ad esempio, ma la dico in Italiano, per non ingenerare equivoci, trova applicazione nelle organizzazioni di molte imprese medio-piccole?
Si può sapere se funziona e quali risultati produce?
I consulenti ne parlano molto da anni, nei corsi di formazione anche. Ma nelle organizzazioni delle aziende si applica correttamente o è solo una bella teoria?
Intanto ricordiamo che la catena del valore è circolare nel suo funzionamento e solo così può produrre i suoi positivi effetti.
L’abbiamo ricordata la catena circolare del valore, solo per fare un esempio, di ciò che si può fare per cominciare a cambiare qualcosa e che magari non si fa perché rappresenta un cambiamento rispetto al “si è sempre fatto così”.
Solo per fare un esempio perché secondo noi il problema vero non sta fondamentalmente nei modelli organizzativi applicabili ma nella competenza e nel ruolo e responsabilità attribuita concretamente alle persone, a tutti livelli, di qualunque colore essi siano.
Il futuro, molto prossimo, ci impegnerà ad affrontare le situazioni di necessario cambiamento basandosi su tre pilastri fondamentali:
- l’innovazione tecnologica (la scienza e la complessità camminano velocissime ora)
- la sostenibilità ambientale cui tutti siamo chiamati a provvedere nel modo migliore possibile
- le persone; per essere all’altezza delle sfide che ci aspettano, c’è bisogno di persone formate, istruite, motivate; il cosiddetto capitale umano;
Il capitale finanziario che dominò la rivoluzione industriale fino ai giorni nostri non è più il problema essenziale; i tre pilastri del cambiamento citati lo sono.
Ci lasciamo oggi con una provocazione cui stiamo pensando da tempo.
Proviamo ad immaginare una organizzazione orizzontale e circolare che superi e mandi in meritata pensione quelle lineari e verticali che ci hanno lasciato Taylor e Ford, le famose piramidi.
Noi pensiamo ad organizzazioni orizzontali e circolari dove le soluzioni si cercano insieme e tutti le applicano, migliorandole magari, perché le sentono proprie. Una comunità umana che lavora e cresce insieme portando risultati e successo. Progettisti che lavorano con i colleghi che devono ingegnerizzare e con gli altri che devono applicare e produrre, in qualità e sicurezza. E così per ogni altra funzione e ruolo. Organizzazioni che riconoscono i meriti, motivano le persone, le responsabilizzano premiando i risultati. Ce lo ricorda la nostra astronauta Cristoforetti: il capo non comanda gli altri, li aiuta a fare bene, sempre meglio. Li aiuta, non li comanda. Proviamo a rifletterci sopra.
Ricordiamo, al volo, che la nostra Costituzione prevede da oltre settanta anni la partecipazione attiva dei lavoratori al capitale aziendale (investendo i risparmi ad esempio) e conseguentemente alla gestione aziendale. In altri paesi europei già funziona.
Se qualcuno mi spiegherà perché i sindacati hanno sempre ignorato questa opportunità, che favorisce la partecipazione di chi lavora al successo e al benessere delle persone e dell’organizzazione, sarei molto grato.
Di organizzazione orizzontale e circolare scriveremo ancora, con maggiori dettagli, sempre ottimisti e disponibili e con una raccomandazione: togliete gli occhi dal retrovisore, guardate avanti, il futuro è denso di novità e di difficoltà da affrontare e risolvere. In un paio di mesi siamo passati dal messaggio giustamente severo di Greta Tumberg alla necessità di riutilizzare urgentemente i combustibili fossili. Gli impegni presi dai Governi per la salvezza dell’ambiente vengono rinviati per necessità.
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