Articolo di Gian Battista Liazza

L’argomento è ampio e interessante ma si dilungherebbe nello spazio e nel tempo a dismisura, 

Noi ci occupiamo di organizzazioni e di capitale umano per cui cercheremo di aprire uno spiraglio di interesse nelle menti di chi ci osserva dall’interno e di chi dall’esterno, ambisce entrare a far parte di un’organizzazione.

Chi sta ai vertici e chi sta alla base: funziona ancora così?

Fin dalle origini del lavoro l’organizzazione è regolata da chi sta al vertice e impartisce ordini alla base che deve applicare la regola tassativa del “bene-fare”.

Da Taylor a Ford si è sempre teorizzata un’organizzazione piramidale e, soprattutto nelle piccole imprese, è ancora così.

Ci sono state naturalmente evoluzioni teoriche molteplici e lungimiranti ma nella pratica si continua ancora ad applicare un’organizzazione piramidale e verticistica. C’è poi chi rende tutto questo più “moderno” con le decantate deleghe.

E su questo punto si potrebbero scrivere dei trattati, non tanto per le grandi organizzazioni ma per le medio-piccole che sono la stragrande maggioranza.

Infatti il concetto di responsabilità in quest’entità medio-piccole si identifica prevalentemente con eventi di colpa.

I giapponesi hanno fatto tesoro degli errori ponendoli come base dei miglioramenti, da noi invece sono danni e colpe.

Chi lavora all’interno di un’organizzazione si trova a difendersi come può, facendo di meno perché in tal modo si rischia di meno.

A conferma di ciò, osserviamo come si esprime l’attività formativa. Prevalentemente poco sapere e il resto saper fare. Il saper essere sembra superfluo. Meglio sarebbe definirlo addestramento.

Non abbiamo qui lo spazio per approfondire, accenderemo dei lampi di luce nel buio un po’ angosciante del cosa ci riserva il futuro, molto prossimo.

I tre pilastri del cambiamento saranno l’innovazione tecnologica (cosa ci sta preparando la scienza), la sostenibilità ambientale (non possiamo continuare nella distruzione irragionevole di risorse e condizioni ambientali), il capitale umano (non si può costruire nulla di buono sopra i citati pilastri senza un generale coinvolgimento responsabile di chi lavora a tutti i livelli).

A parole sono tutti d’accordo ma sul fare cosa, come e quando si cincischia.

Non c’è più tempo da sprecare!

Cominciamo dalla figura dell’imprenditore. Ci hanno sempre detto che fare l’imprenditore è istintivo, si intraprende il percorso per istinto o perché si ha un sogno da realizzare … Cosme se i sogni fossero prerogativa degli imprenditori. Purtroppo studiando un po’, si scopre che di istinto è una caratteristica prevalente degli animali. E allora?

Ci sono stati nella storia personaggi come Olivetti, Enrico Mattei e pochi altri a quel livello di capacità, umanità e intuizione che per produrre risultati bisognava non focalizzarsi sui risultati ma avere una visione più ampia delle cose. Questo li ha rese persone speciali oltre ad imprenditori di cui oggi leggiamo le biografie, sperando di essere ispirati.

Cosa si fa per aiutare gli imprenditori a saper essere imprenditori (non padroni) all’altezza delle situazioni che stiamo vivendo e del cambiamento che è immediatamente dietro l’angolo?

Serve un cambiamento non solo tecnologico ma anche umano e sociale esattamente come hanno fatto Olivetti, Mattei e come fa oggi Cucinelli, il quale non ha fatto altro che rivedere in chiave “moderna” quello che altri prima di lui avevano già fatto.

Dov’è la difficoltà? La difficoltà è nell’essere. L’unica dimensione che noi non ci preoccupiamo di formare. Formiamo le persone al sapere e saper fare ma l’essere?

Viviamo una stagione di conclamati e anche assurdi diritti, senza capire che se non si riprende anche la stagione dei doveri (sicuramente più complessa e innovativa) rischiamo di veder scomparire i diritti.

Le organizzazioni verticali dovranno divenire orizzontali.

E non è un modo diverso di disegnare l’organigramma ma il coinvolgimento prioritario ed essenziale dell’essere di ciascuno a tutti i livelli. Poi verrà il sapere e il saper fare. E così sarà possibile mettere in atto delle vere politiche di diversity management che non possono essere relegate alla diversità di genere come siamo abituati a vedere oggi.

Valorizzare le diversità è qualcosa che va oltre. E’ restituire valore all’essere così com’è, non perché si uniforma alla massa.

Non basterà avere il titolo di studio adatto, qualche esperienza lavorativa, le segnalazioni giuste, o la logica di uno stupido algoritmo, per assumere consapevolmente responsabilità sempre più impegnative nelle organizzazioni del futuro (molto prossimo), bisognerà saper essere ciò a cui aspiriamo.

Solo così è possibile contribuire al successo di un’organizzazione orizzontale dove non sono gli ordini perentori ad animarla ma i supporti. Stiamo parlando di vera leadership.

Samantha Cristoforetti, la nostra astronauta che comanderà la prossima missione della stazione spaziale internazionale, ha affermato che non darà ordini, aiuterà gli altri membri dell’equipaggio a fare bene. E’ questa l’immagine concreta di ciò che dovrà avvenire nel organizzazioni orizzontali.

Intanto prepariamoci a cambiare le organizzazioni perché ciò che accadrà ai vertici, ai maggiori responsabili, dovrà coinvolgere tutti anche gli strati oggi più bassi,

Un esempio per riflettere: gli insegnanti.

Basta possedere una laurea ed aver sostenuto un esame per essere un bravo formatore?

Anche uno psicopatico, un nevrotico instabile può avere una laurea e sostenere brillantemente un esame, ma chi pagherà il prezzo umano dei danni che farà?

Concentriamoci di più sull’essere idonei a svolgere ruoli importanti come l’insegnamento scolastico, Non è solo una mia opinione ma di molti autorevoli studiosi della materia.

E nelle aziende, nelle organizzazioni quali e quanti danni si faranno e si continuerà a farne se non ci si impegnerà ad essere adeguati alla posizione e al ruolo cui aspiriamo?

Le organizzazioni devono cambiare, ma le persone devono essere idonee per svolgere i compiti, i ruoli e assumere le responsabilità che questi comportano, a tutti i livelli.

Molti ne parlano ma siamo ancora alle affermazioni.

Il cambiamento se non si decide come affrontarlo desta solo timori, inquietudini e aumenta il malessere individuale e sociale.

Reclamiamo diritti non sempre sacrosanti ma dobbiamo impegnarci anche per i doveri, soprattutto quelli che il cambiamento profondo ci riserva.

Per l’Italia il problema della formazione è fondamentale.

Non sarà più ai vertici mondiali se non affronterà energicamente il tema della scuola, della formazione all’essere oltre che al sapere e al saper fare. Dobbiamo uscire da quella classifica che ci vede ai primi posti per l’analfabetismo funzionale, non c’è futuro altrimenti.

Questi temi andranno tempestivamente approfonditi da tutti quelli che operano in settori interessati, anche da noi naturalmente che come Compagnia della Rinascita ce ne occupiamo già da anni.

Per restare indietro non servirà nulla, sarà automatico e fatale.

Ci sono nazioni che sono già in marcia verso il futuro e noi dobbiamo sbrigarci.

Si andrà in pensione più tardi, i quarantenni e i cinquantenni sto fra i più interessati a cambiare qualcosa nel loro essere più che nel sapere e nel saper fare.

Abbiamo la convinzione che le donne siano già pronte ad entrare in gioco per affrontare il cambiamento, per loro è anche più semplice perché biologicamente più predisposte ma bisogna farle correre riconoscendo loro uguali opportunità e senza pregiudizi. Ancora oggi assisto a selezioni in cui ad una donna si fa la fatidica domanda: “vuole avere dei figli?”.

Smettiamo di resistere arrogandoci sul pernicioso “si è sempre fatto così”, di male ne ha fatto già abbastanza.

Se i nostri pochi lampi avranno abbagliato qualche mente interessata al cambiamento siamo disponibili, senza impegno, ad un confronto per agevolare i processi di cambiamento delle imprese e delle persone.