Ormai in tutto il mondo si parla della necessità di una profonda ridefinizione del lavoro.
Negli ultimi anni molte cose sono cambiate: l’evoluzione digitale con l’inserimento dei robot e algoritmi, la pandemia con tutte le insicurezze che ha generato, il lavoro da casa, il disallineamento tra fabbisogni di nuove competenze e quelle disponibili oggi sul mercato.
Insomma, c’è tanta confusione, tanto nervosismo e idee poco chiare come spesso accade in queste circostanze.
Una cosa però è certa: occorre cambiare le modalità di lavoro che ancora sono troppo legate a modelli organizzativi e contrattuali non più compatibili con un contesto globalizzato, complesso e imprevedibile.
Tutto questo rende ancora più rilevante il problema dello sviluppo del capitale umano come asset fondamentale per fare la differenza e su questo c’è tanta improvvisazione, tanta impreparazione e soprattutto tutti ne parlano ma pochi sanno cosa fare.
Serve una ridefinizione del lavoro e un nuovo modo di concepire l’organizzazione
Occorre uscire da comportamenti e modelli di impresa basati sulla massimizzazione del valore per gli azionisti, adottando modelli basati sulla creazione di valore e bene-essere ad ampio spettro (azionisti, dipendenti e clienti).
Forse in tal senso dovrebbero essere rivisti anche gli organigrammi che ormai risultano obsoleti nella loro classica forma a piramide, uscendo dalla logica delle persone come pedine di un organigramma senza anima, senza responsabilità precise e spesso senza senso.
L’impresa come ecosistema
L’impresa di successo si caratterizza come un ecosistema complesso che produce valore non solo per pochi, ma da e per tanti attori protagonisti che insieme e armonicamente, contribuiscono al risultano.
Questo era il disegno di Adriano Olivetti, accusato di essere un utopista ma forse aveva solo avuto un’intuizione lungimirante in un periodo storico non pronto ad accogliere tale “rivoluzione”, seppur la sua impresa abbia prodotto concretamente risultati straordinari.
Organizzazione circolare per ridefinire il lavoro
Sta, in particolare, entrando in discussione il modello di produzione basato su uno sviluppo industriale lineare che parte dalla progettazione e produzione, passando per la promozione-commercializzazione per arrivare alla vendita.
Un processo che genera sprechi di materie prime, energia e in genere rifiuti, a volte, difficilmente smaltibili.
A questo modello si sta iniziando a contrapporre il modello circolare di beni progettati in modo tale da prevedere un lungo ciclo di vita dei prodotti attraverso il ricambio di componenti e un riciclo di tutte le parti, eliminando o riducendo lo spreco di materiali ed energia.
Anche la logistica può diventare circolare superando la fine del processo nella consegna al cliente ma creando un servizio permanente per clienti fidelizzati.
In questo modo la vendita di un bene si trasforma nell’offerta di un servizio continuo di fatto senza termine.
E lo stesso dicasi per gli acquisti che diventano una rete di filiere integrate, in grado di prevedere uno scambio continuo di dati e conoscenze rivolte ad innovare continuamente per essere competitive.
Questo eviterebbe anche il problema di blocchi o mancata reperibilità dei materiali dovuti a scioperi o altre circostanze non sempre prevedibili.
Per fare questo occorre trasformare la struttura organizzativa che da lineare diventa circolare.
Come?
Disponendo di nuove competenze professionali che diventano il fondamento della ridefinizione del lavoro, dove anche la parola “dipendente” forse appare un po’ superata.
Le persone nel decennio 2020-2030 saranno sempre di più gli asset centrali della produttività e dell’innovazione rispetto agli asset fisici ed economici tradizionali.
L’impresa è destinata ad essere sempre di più un ecosistema responsabilmente garante del rapporto collaborativo-comunitario tra le persone e verso l’ambiente sociale in cui opera (scuola, cultura, bacino delle risorse umane), mentre la tecnologia sarà il collante dell’ecosistema dell’impresa attraverso le reti e le piattaforme dei dati, la cui accessibilità consentirà di massimizzare gli scambi di conoscenze e favorire il contributo di tutti agli obiettivi comuni.
Anche l’esperienza del lavoro da remoto che tutti abbiamo vissuto durante la pandemia, potrebbe diventare un’opportunità se ben gestito e soprattutto con una diversa organizzazione aziendale. In particolar modo sarebbe utile concentrare l’attenzione degli imprenditori sulla reale trasformazione dei contenuti del lavoro, sull’autonomia operativa e sui risultati in funzione del loro raggiungimento, piuttosto che sul mantenimento e controllo di rigidi tempi e luoghi di esecuzione.
Rivoluzionare la cultura organizzativa, nuovi modelli organizzativi richiedono nuovi modelli organizzativi, del lavoro e lo sviluppo del capitale umano
C’è bisogno di rivoluzionare dell’attuale cultura organizzativa che deve essere sempre più orientata a privilegiare i valori umani rispetto a quelli puramente tecnici.
Il digitale, l’intelligenza artificiale, gli algoritmi, le automazioni spingono inevitabilmente all’eliminazione del lavoro non qualificato, ma non si sostituiscono al lavoro umano qualificato e anzi spingono ad una riqualificazione delle competenze professionali, creando in questo modo la nascita di nuove opportunità di lavoro.
Non è la tecnologia a creare lavoro ma le competenze delle persone in grado di sfruttare al meglio l’innovazione tecnologica.
Ecco perché è importante investire in formazione ed ecco perché oggi c’è un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro proprio a causa di una mancata disponibilità delle competenze che servono.
A ridefinire il concetto di lavoro e la trasformazione delle organizzazioni contribuiscono soprattutto le nuove generazioni che sono cresciute nel digitale e che avranno il compito di attivare l’intero processo.
Si tratta di una sfida complessa, urgente e sicuramente non facile perché scardina ogni zona di comfort, ogni abitudine, ogni modo di pensare e agire all’interno di un contesto lavorativo così come lo abbiamo concepito sino ad oggi.
Il problema, se lo vogliamo chiamare così, è che è urgente e determinerà un nuovo ciclo di sviluppo industriale e soprattutto umano.
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