Una cosa che viene spesso sottovalutata è il monitoraggio del clima organizzativo che poi fa il paio con la scarsa attenzione che si presta in generale alle risorse umane.
Ci si accorge infatti dell’importanza che hanno le persone solo quando decidono di lasciare l’azienda e allora si assiste ad una serie di comportamenti sbagliati come il rilancio economico o scene di panico perché magari non si ha nessun altro che possa ricoprire quella posizione.
Quindi non ci occupiamo né dell’effetto dei comportamenti errati sulla persona dimissionaria, che sarà così sempre più convinta ad andarsene, né tanto meno sull’intera organizzazione. Non parliamo poi delle scene di panico che non fanno stare bene nessuno e nella migliore delle ipotesi (dico migliore non a caso) generano altri licenziamenti.
Purtroppo, il problema nasce a monte.
Le persone sono l’unico capitale veramente importante per l’azienda ma non sempre siamo disposti ad investirci tempo, attenzione e risorse.
Le lasciamo lì, parcheggiate, abbandonate e speriamo che se la cavino nonostante gli schiaffoni a suon di autoritarismo e controllo.
Tutto questo non può che sfociare in malessere, inefficienze, demotivazione e conflitti.
In altre parole, in un clima organizzativo non favorevole alla crescita dell’azienda.
Studi scientifici, infatti, dimostrano che alla base dei conflitti aziendali tra vertici e collaboratori, non c’è un problema legato alla comunicazione o agli stili di gestione ma piuttosto problemi psicologici latenti come una scorretta gestione dell’ansia e una mancanza di empatia.
L’ansia nasce da uno stato di insicurezza che rende la persona (dipendente o capo che sia) incapace di gestire la situazione e di assumersene la responsabilità (non la colpa).
Nei capi, l’ansia porta a mettere in atto comportamenti autoritari e ad eccedere nel controllo che diventa maniacale, spesso per le cose marginali. Tali comportamenti generano spesso conflitti anche significativi che possono portare a perdere risorse e innalzare il tasso di turn over aziendale.
Peggio ancora se non si interviene con azioni mirate ma soprattutto con la volontà di voler risolvere il problema, si rischia di danneggiare l’immagine aziendale.
Ecco allora che allenare l’empatia per un capo potrebbe essere un buon esercizio per arginare il danno.
Ma che cos’è l’empatia?
L’empatia è la capacità di vedere il mondo come lo vede l’altra persona, di comprendere i sentimenti dell’altra persona, di sospendere il giudizio e soprattutto di comunicare alla persona questa comprensione.
Tutte cose che si possono imparare, anche se non facili da mettere in pratica da subito.
Occhio a non cadere della trappola di credere che l’empatia sia sinonimo di buonismo. Non è così.
L’empatia non deve implicare necessariamente l’approvazione delle prospettive o dei sentimenti dell’altra persona. Non dobbiamo essere d’accordo né pensare che le emozioni che l’altra persona prova siano giustificate. Significa comprendere, immaginare tali prospettive ed emozioni, anche senza condividerle.
Insomma, essere capaci di empatizzare non vuol dire simpatizzare!
Ci sono poi una serie di attività che si possono mettere in atto per rendere l’azienda attrattiva, come investire in formazione, attivare politiche di people care, definire politiche incentivanti, fare piani di crescita e carriera, parlare con le persone (oggi ci sono figure formate a questo come i coach e i counselor) e tanto altro. Ma bisogna fare e farlo prima che le persone si licenzino.
Il miglioramento del clima organizzativo è un fatto strategico non marginale.
Il clima organizzativo dovrebbe fare parte integrante delle attività che la direzione dovrebbe mettere all’ordine del giorno nelle riunioni tra soci o all’interno dei Consigli di Amministrazione.
Cosa rischi se non lo fai?
Trovarti impreparato di fronte ad un licenziamento inatteso o lo sfacelo della tua azienda.
Non credi sia il caso di intervenire subito?
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