Il mondo imprenditoriale si è sempre caratterizzato da un lessico piuttosto consolidato e spesso condito da parole anglosassoni. Ma non solo, il lessico aziendale è piuttosto ristretto sempre all’uso delle stesse parole e se è vero che le parole descrivono la realtà così come la viviamo, ciò significa che abbiamo una visione piuttosto ristretta in un mare di possibilità.
C’è in particolar modo una parola che non appartiene al linguaggio aziendale se non con eccezione negativa; questa parola è: speranza.
Se si vuole veramente rompere gli schemi è bene cominciare a parlare di speranza anche nelle aziende.
Si dice che gli esseri umani possono vivere quaranta giorni senza cibo, quattro giorni senza acqua e quattro minuti senza aria ma nessuno di noi può vivere quattro secondi senza speranza.
Credo che già questo possa bastare per cominciare a parlarne.
La speranza non è un’emozione ma un modo di pensare, un processo cognitivo quindi.
In particolare, possiamo dire che la speranza è un processo del pensiero, composto da quella che Snyder chiama una trilogia di obiettivi, percorsi e agentività.
Semplificando, la speranza si verifica quando:
- abbiamo la capacità di fissare degli obiettivi realistici (so dove devo andare);
- siamo in grado di immaginare come realizzare questi obiettivi e siamo capaci di restare flessibili ed elaborare percorsi alternativi (so come arrivarci, persisto e so sopportare le delusioni e riprovarci)
- crediamo in noi stessi, nelle nostre capacità
Quindi la speranza è un mix di obiettivi che si vogliono raggiungere, di tenacia e perseveranza indispensabili per continuare a perseguirli nonostante le difficoltà e di fiducia nelle proprie capacità.
Ora qualcuno potrebbe obiettare: “io non riesco a sperare in qualcosa di diverso”.
Bene, la speranza si può imparare. E’ un pensiero che va coltivato e allenato.
Qual è il vantaggio? Una vita migliore e migliori prestazioni; sicuramente un vantaggio per chi ricopre ruoli da leader come un imprenditore o un manager.
La convinzione tipica del mondo moderno dove tutto deve essere facile, veloce e divertente non ha nulla a che fare con la speranza, forse anche per questo le nuove generazioni non nutrono speranze e grandi passioni. Ragione in più per parlarne in ambiti non strettamente filosofici ma di business e aziendali in modo particolare.
L’essere umano sviluppa un atteggiamento mentale di speranza quando comprende che alcuni obiettivi importanti sono lunghi, difficili e per niente divertenti da raggiungere.
La speranza richiede di capire che se raggiungere un obiettivo può essere divertente, veloce e facile questo non significa che abbia meno valore di un obiettivo difficile.
La speranza richiede una mente flessibile e perseverante.
Non tutti gli obiettivi sono uguali. Sopportare la delusione, essere determinati e credere in se stessi sono fattori essenziali per allenare la speranza.
La speranza quindi è azione, è qualcosa che si fa ogni giorno.
Non significa affidarsi al fato, a Dio o a quale santo.
La mancanza di speranza porta conseguentemente all’impotenza, al non sapere cosa fare, a quella sensazione spiacevole di disagio, e a volte di totale panico, di essere con le spalle al muro.
L’impotenza è pericolosa.
Per molti, l’incapacità di cambiare le cose è una situazione che sfocia nella disperazione. Le persone, specie in questo momento storico complesso, hanno bisogno di sentir parlare di speranza, di un atteggiamento che possa allontanare la paura.
C’è bisogno di credere che le cose possono essere cambiate.
Questo ha un senso se pensiamo che i giovani faticano a coltivare un atteggiamento mentale di speranza, eppure il futuro è nelle loro mani.
Cari imprenditori,
se volete rompere gli schemi e fare qualcosa di diverso, cominciate a parlare di speranza nelle vostre imprese.
Commenti recenti