Articolo di Gian Battista Liazza

Abbiamo più volte affrontato il tema del Capitale Umano, riferendoci ai lavoratori di qualunque livello.

Oggi facciamo un appello agli imprenditori italiani perchè anche loro sono Capitale Umano dell’Italia.

in particolare modo ci riferiamo ai titolari di piccole e medie imprese che costituiscono il tessuto del sistema economico produttivo nazionale. Oltre il 90%.

Negli anni le piccole imprese hanno dimostrato di saper resistere con creatività, ingegno e notevole resistenza alle crisi e alle sfide di un mercato in continua evoluzione.

Hanno innovato con intelligenza e perseveranza.

Tuttavia competere sui mercati globali in queste condizioni dimensionali non è facile e con gli straordinari cambiamenti in arrivo, potrebbe rivelarsi letale per molti.

Il Presidente Draghi lo ha detto fin dai primi giorni del suo Governo: dobbiamo aiutare le imprese che hanno prospettive a rafforzarsi mentre quelle che non ne hanno dovranno uscire dal mercato.

Vanno recuperati i lavoratori riconvertendoli e incrementando le loro competenze con efficaci interventi di formazione, ecco perchè è importante parlare di Capitale Umano.

Lo stesso vale per gli imprenditori che dovranno riqualificarsi e aggiornare le loro competenze.

Non si tratta di una previsione campata in aria ma di un inevitabile appuntamento post pandemia.

Le ragioni sono molte, solo per citarne alcune: sotto capitalizzazione, le dimensioni non consone per affrontare mercati globali, carenze strutturali e organizzative, scarsa capacità di interazione e integrazione nelle filiere, inadeguatezza delle competenze e quindi del Capitale Umano.

Noi vediamo un problema ben più severo nel Capitale Umano imprenditoriale: la cultura.

Il problema sta nelle origini sistemiche, gloriose per la gran parte dei soggetti.

Molti, non troppi anni fa, erano definiti cantinari, che peraltro hanno fatto crescere le loro imprese soprattutto innovando in macchinari e tecnologia ma sempre concentrati sul fare, sul come fare, Veri specialisti di settore, tuttavia distratti e incapaci di guardare il mondo e le sue trasformazioni, vittime del “si è sempre fatto così”.

Anche i lavoratori sono cresciuti ad immagine e somiglianza, soprattutto i più anziani.

Intanto la trasformazione sociale ha spostato gli interessi delle persone fuori dal posto di lavoro e sembra che imparare, acquisire nuove competenze crescere non sia più un’opzione interessante.

Ciò che interessa è la retribuzione.

E’ più facile odiare che amare qualcuno o qualcosa.

Il clima nei luoghi di lavoro inevitabilmente peggiora.

Non è quello che ci vuole per eccellere, per competere e per vincere le sfide.

Pertanto non resta che incentivare chi vuole sviluppare le proprie imprese, quelle che hanno prospettive e aiutare le altre a chiudere salvando i lavoratori che tuttavia dovranno essere formati per le nuove competenze.

Per evitare di chiudere, gli imprenditori dovranno acquisire nuove competenze manageriali.

Riteniamo servano piani seri di formazione imprenditoriale rivolti al futuro, non le solite lagne proposte da docenti vecchio stampo che assomigliano più a profetici predicatori che a utili ed efficaci formatori.

Abbiamo il coraggio di riscoprire molte cose che si fanno con serietà negli Stati Uniti e anche in Cina e altri Paesi che guardano al futuro con occhi aperti.

Innovazione tecnologica, sostenibilità, ambiente e Capitale Umano sono le tre sfide impegnative che aspettano le nostre imprese italiane.

Occorre però fare in fretta.

Il nostro appello agli imprenditori italiani: sconfiggiamo l’ignoranza che è il peggior nemico dell’impresa,

Non è un problema di titoli di studio, quanto di persone migliori e di ampia visione,. Si favorisca la formazione non con i correttivi limitati al saper fare ma al saper essere.

Una formazione che stimoli interessi, spirito di ricerca, innovazione, miglioramento continuo, responsabilità e sviluppo.

Chi avrà gli equipaggi migliori e le visioni più avanzate sopravviverà con successo, gli altri saranno aiutati a chiudere.

Non potrà essere diversamente nella prospettiva degli scenari che si presentano in questo mondo che cambia, velocemente e impetuosamente.

Fare bene e fare presto. Ricordiamoci che eravamo la quarta potenza industriale al mondo, ora siamo la decima con una veloce prospettiva di scendere con effetti poco invidiabili.

C’è chi sta facendo meglio di noi.

Non abbiamo tempo da perdere, l’Italia non è messa bene come sistema educativo e livelli culturali. Le classifiche internazionali parlano chiaro