Articolo di Sonia Vincenzi

Cosa si intende con il termine Diversity Management?

Tecnicamente con il termine “Diversity Management” si intendono quelle pratiche e politiche che mirano a rispettare tutte le diversità all’interno di un’azienda, supportando diversi stili di vita e rispondendo alle esigenze di ogni collaboratore.

Andando al di là del gergo manageriale, la parola Diversity, significa Differenza.

L’altro è differente da noi, ma la differenza è anche dentro ciascuno di noi.

Basti pensare alle contraddizioni, alle ambivalenze e più semplicemente alle diverse sfumature che caratterizzano l’interiorità di ogni persona sul piano del pensiero e sul piano delle emozioni.

Nella nostra società, che tende ad uniformare tutti, che privilegia il non pensiero (pensiero unico), che spinge all’omologazione, ciò che è diverso è da scartare, non è buono, è da allontanare.

In realtà nella diversità c’è una grande ricchezza ma presuppone l’incontrare l’altro apertamente, senza barriere, senza pregiudizi.

Soprattutto significa guardare negli occhi l’altro e questo presuppone assumersi la responsabilità dell’altro, altra cosa che stiamo perdendo. La nostra è una società molto individualista.

Ecco perché parlare di Diversity Management in azienda non è uno slogan.

Non è neppure uno strumento per apparire “etici”, non è un insieme di tecniche o modelli da applicare, bensì una cultura da sviluppare.


Perché è importante? 

La risposta è abbastanza semplice: senza confronto con qualcosa di “non normale”, non usuale, si muore, si implode, non ci si evolve.

In molte aziende il processo di involuzione è già in atto ed è più frequente di quello che si può immaginare.

Come lo riconosciamo?

Ad esempio, quando tutti in azienda aspettano che sia il capo a prendere una decisione, quando qualsiasi proposta viene stroncata sul nascere con frasi del tipo: “in tutti questi anni abbiamo sempre fatto così, che bisogno c’è di fare diverso?”, “non complichiamoci la vita, facciamo come sempre”, ecc..

Oppure quando nonostante l’azienda curi molto bene l’ambiente, gli uffici, la sala relax, le persone se ne vanno apparentemente senza alcun motivo.

Quando purtroppo le imprese non hanno un cuore, non sono mosse da una passione, dalla curiosità di apprendere, di scoprire di sperimentare qualcosa di diverso, la fine è vicina. 

Diventa dunque sempre più urgente per le aziende gestire in modo inclusivo le differenze di età, cultura, orientamento di genere, abilità.

Ciò è dimostrato da ricerche, studi e realtà: l’inclusione che valorizza le differenze va a vantaggio della fiducia e del clima interno, dei risultati di business, dell’engagement di chi lavora e del benessere organizzativo, dell’employer branding rispetto alle nuove generazioni.

Insomma, tutti ci guadagnano e vivono meglio la vita!

Nel campo delle organizzazioni è sempre più evidente l’importanza di mettere in atto politiche di Diversity Management che presuppongono politiche inclusive, dove l’inclusione non è solo un processo di riconoscimento/accoglienza della diversità, ma di contemporanea valorizzazione di essa.

Ciò concretamente passa attraverso l’identificazione di bisogni e di idee frutto di un’opera attenta di ascolto di chi è discriminato, di chi segnala il persistere di pregiudizi assolutizzanti e penalizzanti non solo verso le donne (che sono la metà del mondo), ma anche di tutti i soggetti coinvolti su più piani.

Questo significa lavorare molto sulla cultura all’interno di un’azienda che non è fatta tanto di definizione di vision, mission, la migliore versione di se stessi ma va molto più in profondità, al cuore, all’anima, al chi vogliamo essere e quali valori rappresentano un’azienda rispetto ad un’altra, quale linguaggio, quali parole, quali comportamenti sono distintivi.

Lavorare sul tema della diversità e dell’inclusione richiede esperienza, intelligenza sociale, empatia e studio approfondito della materia che di per sé non è facile da trattare ma i cui vantaggi sono enormi sotto molti punti di vista.

Certo, non è facile, tutti abbiamo pregiudizi inconsci, dobbiamo essere consapevoli di avere la tendenza a circondarci di persone che sono come noi, pensano come noi.

Ciò blocca l’inclusione di nuove idee e porta al group think (pensiero unico, pensiero uniformato al gruppo, studiato molto da Irving Janis).

Il group think risponde, tra l’altro, alla necessità inconscia di evitare di entrare in conflitto con il pensiero dominante e con i componenti del gruppo che lo rappresentano.

Tuttavia è pericoloso perché porta a comportamenti e a prese di decisioni che non sono frutto di consapevoli implicazioni ma di appiattimento conformista e superficiale umanità

Lavorare su questi terreni in ambito organizzativo è complesso perché chiama in causa tanti attori e solleva sottili questioni culturali, emotive, cognitive e psicologiche. 

Mantenere l’attenzione rispetto al tema del Diversity Management anche in questo periodo di crisi sanitaria, economica e sociale, è fondamentale. 

Se da una parte indietro non si torna, va detto che in molte aziende ci si è resi conto che modi di lavorare e la cultura aziendale, saranno sempre più inclusivi, rivolti ad individuare il giusto balance tra lavoro da remoto e lavoro in presenza, alla valorizzazione delle diversità di genere, età, caratteristiche personali, talenti, ecc…