Articolo di Gianbattista Liazza
Il cambiamento è una parola che appare un po’ ovunque, soprattutto dopo l’avvento del Coronavirus.
La verità’ è che se ne parla da molto tempo soprattutto negli ambienti professionali, specie quelli al top. Poi nessuno spiega bene cosa cambierà, molti rispondono tutto per sbrigare l’argomento, ma poi se si fanno delle domande le risposte sono un po’ deludenti. Negli ambienti più autorevoli e credibili di recente si sono indicati tre pilastri del cambiamento: innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale, capitale umano. È un buon orientamento per cominciare la transizione dal dire al fare. In ogni caso, tracciate le linee guida, si dovrano fare bene le cose, soprattutto le nuove, quelle più radicali che caratterizzeranno il cambiamento annunciato.
Per fare bene le cose che saranno alla base del cambiamento stesso è comunque necessario fare, lavorare; come dai più antichi tempi della storia dell’umanità il lavoro accompagna l’uomo nella sua evoluzione. A questo punto viene spontanea la domanda: cambierà anche il modo di lavorare, il concetto di lavoro?
Pensiamo che proprio da qui cominceranno i cambiamenti più significativi e impegnativi; generati inevitabilmente dall’innovazione tecnologica e dalla sostenibilità ambientale,coinvolgend profondamente il nuovo valore da tutti ormai definito capitale umano; cioè coloro che dovranno attuarlo il cambiamento, renderlo concreto. Altrimenti resteranno solo parole e il cambiamento stritolerà chi non saprà affrontarlo e gestirlo con intelligenza.
Concentriamoci sul concetto di lavoro, e su come cambierà.
Limitiamoci a tracciare un minimo perimetro per cominciare e prepararsi al cambiamento, quello che ci sarà inevitabilmente.
È una esortazione che rivolgiamo a tutti coloro che pensano, che riflettono, che hanno idee da condividere. Cominciamo ad “infettare” le menti con buone idee, sarà un bell’inizio per cambiare.
Riteniamo, per cominciare, che il Taylorismo nella sua concezione di organizzazione scientifica del lavoro sia inesorabilmente al tramonto anche nelle piccole e medie imprese dove ha resistito e ancora resiste pervicacemente. La piramide organizzativa di Taylor ha un vertice (una sola persona ha il compito di pensare e decidere) e man mano che si scende alla base della piramide il lavoro risulta meno coinvolgente,più ripetitivo ed alienante.
“Ti diciamo cosa devi fare, fallo come ti diciamo noi e cerca di non commettere errori”.
Sono immaginazioni fantastiche le nostre?
Anche i contratti sottoscritti dai sindacati tutt’ora consentono penalizzazioni pecuniarie e disciplinari per gli errori commessi da un operaio. Basterebbe renderlo consapvole, coinvolgerlo per non sbagliare più, certamente si impegnerebbe di più, punendolo invece cercherà di nascondersi sempre più e magari fare i meno; così si sbaglia di meno. E dire che basterebbe una polizza assicurativa per compensare il danno.
Vogliamo vedere, per cominciare, come si è consapevoli quando si parla e si sparla di capitale umano?
I Giapponesi ci hanno superato abbondantemente per le loro pratiche molto diverse. Gli errori per loro sono occasioni per riflettere, capire e migliorarsi e non ripeterli (miglioramento continuativo). Così hanno introdotto e applicato concretamente i principi della qualità fin dagli anni 50 del secolo scorso.Hanno posto degli ingegneri come miglioratori sulle linee di produzione, non per sorvegliare ma per osservare gli errori e suggerire i miglioramenti. Gli inglesi hanno definito norme e regole, le BS, ma i Giapponesi le hanno rese concrete più di tutti e i risultati non sono mancati.
Da noi quando è possibile si preferisce far finta di crederci, per non abbandonare nella realtà quotidiana quel maledetto “si e’ sempre fatto così, perchè cambiare?”
Parliamo ovviamente di piccole e medie imprese che peraltro in Italia sono più del 90% dell’intero sistema produttivo.
Affrontiamo un’altra assurdità che pesa come un macigno: si parla ormai ovunque di capitale umano ma le nostre contabilità trattano il capitale umano come costo, analogamente alle bollette dei consumi (sistema internazionale dei principi contabili, IV direttiva CEE sui bilanci dfelle imprese, ecc.).
Se invece realizzate un bagno nuovo in fabbrica si iscrive al patrimonio.
E il capitale umano?
Vale meno del bagno evidentemente.
Così tanto per ricordare le incoerenze fra cose che si dicono e cose che si fanno.
Se una squadra di calcio vuole acquisire un calciatore da un’altra squadra deve riscattarlo, cioè pagare il suo valore a chi lo cede. Un tecnico esperto e qualificato lo si acquisisce alla pari, magari cercando di risparmiare qualcosa sull’inquadramento o sulla paga. Chi se ne intende sa che è storia di tutti i giorni.
Ma pensiamo ancora che non debba cambiare nulla?
Che basterà comprare una macchina da lavoro più avanzata per essere innovativi?
Sono i mercati, i sistemi globali che cambieranno e quindi rimanere impalati a balbettare amenità non servirà a nulla.
Pensiamo che si dovrà partire dal capitale umano per favorire e gestire vantaggiosamente il cambiamento annunciato, proprio da qui. Pensiamo che la piramide Tayloristica si rovescerà finalmente, verrà cancellata. Ci avviamo alla circolarità, anche nelle organizzazioni; addio vertice della piramide finalmente. Ma ci vorrà molto coraggio, realismo, determinazione e cultura.
Il primo cambiamento dovrà dimostrarsi in ognuno di noi, ad ogni livello nel modo dell’essere, del sapere e del saper fare per affrontare il lavoro che ci aspetta.
Le persone che compongono una organizzazione faranno la differenza, non il conto patrimoniale dell’impresa.
Dovrà svilupparsi il coinvolgimento consapevole e responsabile di ciascuno nelle organizzazioni, affinchè ogni persona ad ogni livello di responsabilità possa fornire il suo migliore contributo all’innovazione e alla competititività dell’impresa sui mercati. Abbiamo rinunciato all’intelligenza delle persone basta che facciano ciò che gli viene ordinato; è tempo di recuperarla nelle organizzazioni; di ascoltare le persone, di arricchire i loro ruoli, di puntare tutti insieme a migliorare e migliorarsi.
E allora cosa resta del famoso vertice?
Pensiamo che sia giunto il tempo che imprenditori e manager si dimostrino capaci di determinare e comunicare una visione, di elaborare strategie vincenti, di fare in modo che tutti, proprio tutti, siano coinvolti, consapevoli e responsabili.
Il futuro sarà delle organizzazioni circolari riteniamo.
È ora che anche i Sindacati battano un colpo e superino le vecchie e superate concezioni che ancora oggi caratterizzano contratti e rappresentatività.
Il più grande cambiamento comunque sarà il coinvolgimento dai contenuti molto diversi delle donne, la vera risorsa innovativa.
Ma assieme al capitale umano circola un’altra parola magica: formazione. Termine divenuto centrale per favorire e sostenere il cambiamento. Ne ha parlato anche il Presidente della Repubblica.
Ovviamente un lavoro che cambia ha necessità di lavoratori formati adeguatamente a tutti i livelli.
Sacrosanto concetto. Ma chi ci pensa?
La scuola com’e’ oggi?
I formatori un tanto all’ora impegnati a dispensare parole magiche?
I Guru che allargano le braccia come profeti predicatori ma che in buona sostanza non dicono niente di utile per affrontare futuro e cambiamento?
Formare il capitale umano sarà la prima sfida da affrontare e da vincere.
Qualche idea in proposito la coltiviamo da anni, possiamo parlarne.
Alla prossima … continua a leggerci
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