Articolo di Gianbattista Liazza

Ci siamo lasciati con alcune riflessioni sulle cose da fare, ne aggiungiamo qualcuna per il come fare; sono frutto di esperienza più che di ricerche in biblioteca. 

Cose essenziali, poi il resto lo si aggrega secondo il contesto, si impasta la farina che si ha con l’unica preoccupazione di fare del buon pane. Quando si lavora con e per le persone, partire da loro per lavorare con loro è un buon inizio. 

Ci sembra utile ricordare Annibale il cartaginese, forse il più grande condottiero della storia. Le sue gesta si studiano ancora nelle accademie militari per l’alta formazione degli Ufficiali di molti eserciti moderni.

Diceva Annibale: “il miglior generale non è quello che vince con il migliore esercito ma quello che vince con l’esercito che ha.” 

Nella mia esperienza ne ho sentite di lamentele di imprenditori e dirigenti che si lagnavano sempre: ma non abbiamo la gente giusta. 

Tornate a studiare, Annibale per cominciare. 

Ci sono molte imprese divenute le prime al mondo partendo da luoghi modesti con gente modesta, ma con grandi idee. Pensiamo ad esempio ad Olivetti partito da Ivrea; pensiamo alla Luxottica partita dalle Valli Bellunesi. 

Ma ce ne sono altre per non dimenticare il garage da cui si originò la Silicon Valley.

Innovare l’organizzazione, se trattiamo di capitale umano, un gruppo di persone e tenendo sempre conto del contesto in cui si opera, vuol dire innanzitutto non ignorarle. Bisogna conoscerle e quindi partire da qui. Per conoscerle ovviamente non intendiamo i dati anagrafici, il numero di matricola o simili informazioni che non ci dicono nulla o quasi di una persona. 

Noi riteniamo che le persone si debbano conoscere nel loro individuale essere, nelle loro differenti umanità. Riconoscere le diversità, dunque, e per prima cosa. Sapere che non ce ne sono due di eguali e quindi per avviare azioni innovative nell’organizzazione si deve uscire dallo standard scolastico: alcuni saperi e compiti divisi per tot ore e il piano di rinnovamento è pronto; anche perché spesso si basa solo sull’acquisto di nuove macchine e quindi l’organizzazione e il capitale umano passano in secondo ordine. 

Siamo matti? 

Ignorare le diversità è una ingiustizia profonda soprattutto, è lavarsi le mani: io vi dico quel che serve, magari cose nuove sentite a un corso per imprenditori e manager (ce ne sono tanti), poi ognuno se la sbrighi. Così abbiamo scavato un baratro e poi castigheremo chi ci finirà dentro. Un bel giochino veramente; si è sempre fatto così e allora? Continuiamo così’?

Conoscere le persone non è facile, siamo d’accordo, ma abbiamo mai provato a farlo? Li abbiamo mai ascoltati seriamente; li abbiamo mai invitati ad esporre le loro ragioni, i loro contesti, il loro modo di pensare che ci farebbe capire anche il loro modo di agire? 

No, sono dipendenti e il termine spiega già tutto o quasi. 

Adesso le chiamiamo risorse umane, HR, ma abbiamo cambiato solo la denominazione, la vita delle organizzazioni non è cambiata molto soprattutto nelle piccole. Siamo fermi a Taylor, quello bravo cento anni fa.

Facciamo un altro passo evocando ciò che insegnava John Dewey. Il nuovo sapere, il nuovo saper fare deve fondarsi sulla somma delle idee già possedute da ciascuno, sulla loro “massa appercettiva” che segna e sostiene il percorso di cambiamento per la “recezione delle nuove idee” per lo sviluppo dell’intera personalità dell’individuo. Ma per rinnovare/adeguare le organizzazioni al cambiamento non serve proprio questo, perché non sia solo una bieca e infruttuosa teoria?

 Senza la condivisione consapevole di chi lavora nelle organizzazioni si vernicia la ruggine, non serve, le nuove sembianze durano un nulla, si scrostano in fretta. Si soccombe rapidamente travolti da un mondo che cambia, anche senza di noi.

Qualche altra riflessione è necessaria; abbiamo fatto un passo importante se avremo attirato l’attenzione sul capitale umano, se concentreremo il nostro lavoro sul cambiamento delle persone. Poi il resto verrà giù più facile. 

Ci siamo dilungati, coscientemente, ma così avremo bisogno di un altro piccolo spazio per completare il quadro delle essenziali riflessioni sul cambiamento, su cosa si dovrà cambiare alla radice delle organizzazioni soprattutto. Si dovrà lavorare sulla cultura, elemento indispensabile per vivere e governare il cambiamento nel modo migliore. Quella cultura che ha distinto l’Homo sapiens dalle altre specie e ne ha favorito l’evoluzione. Oggi più che mai è necessaria per l’innovazione tecnologica, per l’economia sostenibile (tutela dell’ambiente) per lo sviluppo del capitale umano. Siamo pronti?